Il percorso della genetica comprende schematicamente da una a tre fasi o momenti operativi successivi.
La fase è una sola se si limita alla Consulenza genetica, ma se questa conduce all’esecuzione di un test genetico, diventano tre: consulenza genetica pre-test, test genetico, consulenza genetica post-test.

Consulenza genetica
Dalle Linee Guida delle Attività di Genetica Medica (G.U. n. 224 del 23-9-2004)
“La consulenza genetica deve intendersi come un complesso processo di comunicazione, ha diverse tipologie che ne condizionano l’organizzazione e le modalità di esecuzione che può richiedere la partecipazione di più figure professionali oltre al medico e/o al biologo specialisti in genetica medica a secondo delle specifiche competenze.

Il processo di consulenza genetica si propone di aiutare la persona e la famiglia a:

  • comprendere le informazioni mediche, inclusa la diagnosi (pre e post natale), il probabile decorso della malattia e gli interventi preventivi, terapeutici ed assistenziali disponibili;
  • comprendere la componente genetica della malattia e il rischio di trasmetterla;
  • comprendere le opzioni disponibili nell’affrontare il rischio di malattia;
  • comprendere le opzioni procreative;
  • affrontare le scelte più appropriate, in rapporto al rischio e alle aspirazioni dei familiari, agendo coerentemente nel rispetto delle decisioni prese;
  • realizzare il miglior adattamento possibile alla malattia.

La consulenza genetica, per la valenza dei temi trattati (salute, malattia, procreazione, qualità e aspettative di vita) ha forti connotazioni psicologiche ed etiche. Dalla consulenza genetica possono scaturire problemi complessi, che riguardano vari aspetti legati alla malattia genetica e che condizionano le scelte delle persone, ad esempio, la procreazione in situazioni di rischio aumentato, la possibilità di conoscere o non conoscere le proprie caratteristiche genetiche, compresa la possibilità di sviluppare una malattia. Queste scelte, proprio perché coinvolgono delicati aspetti personali, non possono essere delegate a nessuna figura professionale, ma richiedono la piena autonomia e la responsabilità degli interessati. Inoltre, la consulenza genetica deve tenere conto della crescente pluralità culturale della nostra società.”

Consulenza genetica pre-test
La consulenza genetica pre-test si compone delle seguenti fasi, così come pure sono definite dal consenso internazionale:

a) I consultandi (vale a dire le persone che hanno richiesto la consulenza genetica) vengono informati dello scopo del test, includendo la descrizione aggiornata ed affidabile dei sintomi e della storia naturale della malattia, le prospettive di prevenzione o di diagnosi precoce e di trattamento, le modalità di ereditarietà, il rischio di malattia nella situazione del consultando, le scelte riproduttive disponibili, l’affidabilità e le limitazioni dello specifico test, e il possibile impatto psicologico e le altre conseguenze del risultato del test per il consultando e per i suoi familiari. Si deve discutere della tutela della privacy e della confidenzialità dei risultati, così come delle possibili conseguenze della sua comunicazione a terze parti, come compagnie assicurative e colleghi di lavoro. Il consulente (vale a dire lo specialista in genetica medica che fornisce la consulenza genetica) non deve essere in nessun modo coercitivo e deve evidenziare questo principio al consultando.
b) La consulenza genetica pre-test include il diritto di sapere e di decidere, compreso il diritto di non sapere.
c) Debbono essere dichiarate le possibili incertezze dovute all’attuale mancanza di conoscenza.
d) Viene iniziata la discussione riguardante il bisogno di informare i familiari sul risultato del test e le modalità migliori per farlo, specialmente quando la diagnosi precoce può migliorare la prognosi.
e) Secondo le risorse disponibili e il contesto e la malattia da diagnosticare, debbono essere proposte ulteriori sessioni di consulenza genetica o consulti con uno psicologo. Deve essere offerta la possibilità di contatto con un assistente sociale e/o con un rappresentante di associazioni di familiari di pazienti.
f) Debbono essere offerti, se disponibili, documenti scritti e/o indirizzi Internet affidabili relativi all’argomento.
g) Il consulente deve offrire assistenza al consultando nel decidere, ed incoraggiare il consultando a prendersi tutto il tempo necessario, se possibile.
h) Se il consultando lo desidera, si deve preparare un riassunto scritto della discussione.

Test genetico
Così come definito dalle Linee Guida delle Attività di Genetica Medica (G.U. n. 224 del 23-9-2004), e consultabili al sito della Società Italiana di Genetica Umana (SIGU):
“Per test genetico si intende comunemente l’analisi di specifici geni, del loro prodotto o della loro funzione, nonché ogni altro tipo di indagine del DNA, dell’RNA o dei cromosomi, finalizzata ad individuare o ad escludere mutazioni associate a patologie genetiche. I test possono essere anche utilizzati per definire la variabilità interindividuale, per risolvere quesiti medico-legali e per valutare la sensibilità/suscettibilità e le resistenze individuali, come pure la risposta individuale – geneticamente determinata – ai farmaci. Rispetto ad altri esami di laboratorio, i test genetici presentano alcune peculiarità, in quanto i risultati coinvolgono l’identità biologica non solo della singola persona, ma anche della sua famiglia (ascendenti e discendenti).
I test genetici, in rapporto alla loro finalità, sono classificati come segue:
– I test diagnostici consentono di effettuare una diagnosi o di confermare, in una persona affetta, un sospetto clinico. Possono essere eseguiti in epoca prenatale o nel corso della vita.
– I test di identificazione dei portatori sani permettono di individuare mutazioni comuni in specifici gruppi etnici, attraverso screening di popolazione (anche in epoca neonatale), oppure indagini “a cascata” sui familiari a rischio di soggetti affetti da patologie genetiche più o meno rare.
– I test preclinici o presintomatici permettono di individuare il gene responsabile di malattie genetiche, i cui sintomi non sono presenti alla nascita, ma compaiono successivamente, anche in età avanzata. Possono fornire informazioni utili a pianificare scelte individuali e familiari. La consulenza genetica è particolarmente complessa e spesso necessita di supporto psicologico durante l’iter che precede e segue l’eventuale esecuzione del test. Se il medico ritiene opportuno sottoporre un paziente ad un test genetico per la verifica di un’ipotesi diagnostica, che riguarda una malattia ad esordio in età giovanile od adulta, deve spiegare al paziente o, nel caso di un minore, ai genitori, la motivazione del test, i benefici e i rischi ad esso connessi, gli eventuali limiti del risultato e le implicazioni per il paziente e i familiari, nonché ottenerne il consenso informato. Per queste ragioni il test deve essere offerto in modo non direttivo e nell’ambito di una consulenza esauriente, che consenta di conoscere le opinioni dell’interessato. E’ importante che al soggetto sia garantita la possibilità di prendere una decisione autonoma, sulla base della propria scala di valori. Le persone devono essere consapevoli che un risultato positivo può avere implicazioni per i figli attuali e futuri e per altri consanguinei.
– I test di suscettibilità consentono di individuare i genotipi che di per sé non causano una malattia, ma comportano un aumento del rischio di svilupparla, in seguito all’esposizione a fattori ambientali favorenti, o alla presenza di altri fattori genetici scatenanti. Rientra in questo ambito la maggior parte delle malattie multifattoriali dell’adulto. E’ perciò importante stabilire il valore predittivo del test utilizzato. Spesso la mutazione in un gene, che conferisce suscettibilità, rappresenta solo un fattore di rischio ed evidenzia unicamente una maggiore predisposizione alla malattia. L’identificazione di persone non affette, ma ad alto rischio genetico, può giustificare l’eventuale attivazione di misure preventive, variabili in rapporto alla patologia. In questi casi, la consulenza genetica e l’acquisizione del consenso informato sono estremamente complessi e delicati. Il risultato del test genetico può solo predire un rischio aumentato o diminuito di contrarre una malattia, rispetto alla popolazione generale. Quindi di regola non può offrire una correlazione diretta tra la presenza di una mutazione e la malattia, ma soltanto una probabilità statistica di malattia. La possibilità di individuare la suscettibilità o la predisposizione su base genetica di un individuo allo sviluppo di specifiche patologie avrà, in un futuro più o meno prossimo, effetti non trascurabili. Infatti milioni di persone, pur non presentando segni di malattia, entreranno nel campo di competenza della medicina. Per alcune malattie i test prescritti potranno escludere la presenza di uno specifico rischio genetico (anche se l’esclusione della malattia non è assoluta), per altre ne potranno accertare una suscettibilità (ad es. neoplasie). In questi casi la vita rischia di essere condizionata e scandita da indagini strumentali, controlli periodici ecc. con l’obiettivo di cogliere sintomi precoci della malattia. Deve essere evitato che l’attuazione di screening preventivi porti al “determinismo genetico”, ignorando l’influenza dell’ambiente o di altri geni non esaminati sul fenotipo. Pertanto, l’eventuale attuazione di queste indagini si deve accompagnare ad una corretta e capillare informazione sulle attuali conoscenze, sui limiti e sulle potenzialità effettive della “predizione genetica”. L’esecuzione di un test di suscettibilità deve essere consentito alle persone maggiorenni, capaci di autodeterminazione.
– I test per lo studio della variabilità individuale si basano sull’analisi di una serie di regioni del DNA polimorfiche (cioè differenti tra gli individui), finalizzata a definire un rapporto di consanguineità o ad attribuire una traccia biologica (identikit) ad una specifica persona. Questi test sono utili per verificare i rapporti di paternità, negli studi di linkage (cotrasmissione con una malattia genetica o un tratto di interesse), nello studio dei trapianti e della zigosità e trovano applicazioni anche in ambito forense.
– I test farmacogenetici riguardano le analisi finalizzate alla identificazione di variazioni di sequenza nel DNA, in grado di predire la risposta “individuale” ai farmaci, in termini di efficacia e di rischio relativo di eventi avversi. Le persone che si sottopongono a questi test devono essere adeguatamente informate e devono preliminarmente sottoscrivere il consenso informato.
– I test genetici finalizzati alla ricerca sono utilizzati sia per comprendere le basi biologiche di una malattia, sia per sviluppare nuovi test genetici. Questi test sono soggetti alle norme della sperimentazione clinica, compresa l’acquisizione del consenso informato. I costi per i test genetici e per le indagini correlate sono a carico dei soggetti pubblici o privati che finanziano la ricerca. Ogni nuovo test genetico, prima di essere utilizzato, deve essere validato a livello analitico e clinico e il protocollo esecutivo deve essere standardizzato. E’ pertanto necessario attuare preliminarmente una sperimentazione pilota, per confermarne la riproducibilità, l’efficienza e l’utilità nella diagnosi clinica.

I test genetici assumono applicazioni particolari nelle seguenti due circostanze:
– Test ai minori
Il consenso informato ai test genetici implica la capacità di assumersi la responsabilità della decisione e perciò richiede, da parte della persona, maturità e consapevolezza decisionale. Questa condizione diventa particolarmente critica nell’esecuzione dei test genetici sui minori, in particolare i test presintomatici relativi alle malattie ad esordio nell’età adulta, per le quali si raccomanda di posporre l’analisi fino a quando il soggetto abbia raggiunto la maggiore età e, quindi, la capacità di decidere in piena autonomia. Il problema assume una particolare rilevanza quando il risultato del test non consenta di effettuare alcun trattamento preventivo efficace o di migliorare la salute del minore. In questi casi i genitori che richiedessero il test per il minore non si porrebbero come finalità la salute del figlio e, anche ammettendo la loro buona fede, non sarebbero, di fatto, i migliori interpreti del benessere psico-sociale dei propri figli. I test genetici presintomatici possono essere effettuati sui minori, non affetti ma a rischio di patologie genetiche, previo consenso informato dei genitori o di chi detiene la potestà genitoriale, solo nel caso in cui esistano concrete possibilità di terapia o di trattamenti preventivi efficaci, prima del raggiungimento della maggiore età. Questa raccomandazione è giustificata da diverse considerazioni: da un lato, la violazione del diritto del minore di decidere, una volta divenuto adulto, se eseguire o meno il test, e, dall’altro, la violazione del diritto alla riservatezza del risultato. A queste considerazioni di natura etica se ne aggiungono altre di natura psicologica, ad esempio il potenziale danno che il risultato del test, soprattutto se sfavorevole, potrebbe causare sull’autostima del minore; l’alterazione del rapporto tra i genitori e il figlio, destinato ad ammalarsi, che potrebbe diventare iperprotettivo oppure discriminatorio nei confronti dei fratelli e delle sorelle; la discriminazione del minore stesso a livello scolastico o di investimento educativo; le conseguenze sulla sua futura carriera lavorativa e sulla sua capacità di costruire relazioni stabili e significative.
– Test preconcezionali e prenatali.
Nel caso dei test che possono influenzare le decisioni riproduttive sono indispensabili informazioni complete e un comportamento non direttivo da parte di chi li gestisce, in modo da garantire il rispetto dei valori e delle convinzioni dell’individuo o della coppia. Sebbene i test di screening eseguiti sul sangue materno (ad es. triplo test) non abbiano rischi per la madre, un risultato che evidenzi un rischio di patologia fetale comporterebbe la decisione di eseguire la diagnosi prenatale mediante tecniche invasive, con le problematiche connesse. La donna che prende in considerazione questo tipo di test deve ricevere preliminarmente una completa informazione e deve conoscere le implicazioni dei possibili risultati e della loro affidabilità, compresi il rischio di risultati falsi positivi e falsi negativi. I test per l’identificazione dei portatori sani hanno ricadute sui figli già nati e su quelli futuri e richiedono che l’interessato sia informato sugli eventuali rischi riproduttivi e sulle opzioni disponibili. I rischi a breve termine delle indagini per l’identificazione dei portatori sani sono prevalentemente psicologici, in termini di ansia o di diminuzione dell’autostima, in caso di risultato positivo. Prima del test bisogna informare, in modo non direttivo, la persona su tutte queste implicazioni, sia a breve che a lungo termine, e valutare le strategie che possono evitare il concepimento o la nascita di un figlio affetto. I test per l’identificazione dei portatori sani non possono essere eseguiti come test prenatali ed un solo soggetto portatore sano di una patologia autosomica recessiva in una coppia non rappresenta l’indicazione ad eseguire diagnosi prenatale per tale patologia; l’unica eccezione a questo è rappresentata dal fatto che l’esecuzione di test genetici prenatali per coppie a rischio (1/4) può portare alla diagnosi di un portatore sano in epoca prenatale. La richiesta, da parte dei genitori, di un test genetico sul feto al fine di accertare una condizione non specificamente collegata alla diagnosi di malattia (es.: sesso, paternità, ecc.) non deve essere accolta. Situazioni particolari debbono essere attentamente valutate.”

Consulenza genetica post-test
La consulenza genetica post-test si compone delle seguenti fasi, così come pure sono definite dal consenso internazionale:

a) Dopo la comunicazione dei risultati del test, è necessario focalizzarsi sull’impatto emotivo sul consultando e le altre persone coinvolte. Secondo le risorse disponibili ed il contesto e la malattia diagnosticata, debbono essere offerti ulteriori incontri di follow-up con il genetista e/o un consulto con uno psicologo. Deve anche essere offerta la possibilità di contattare un assistente sociale e/o un rappresentante di un’associazione di familiari di pazienti. Come regola, deve essere consegnato al consultando un riassunto scritto del risultato del test e degli argomenti discussi durante la consulenza.
b) Può essere necessario ripetere i punti a) e b) della consulenza genetica pre-test.
c) Debbono essere discusse le implicazioni per il consultando (incluso il piano di follow-up, se rilevante) e per i suoi familiari.
d) Deve essere discussa con il consultando la strategia per informare i familiari (o, se necessario, la decisione di discuterla successivamente, dopo un periodo di riflessione).
e) Si può anche rendere disponibile al consultando la documentazione che lo aiuti ad informare i suoi familiari.
f) In dipendenza dell’impatto emotivo, può essere appropriato discutere i suddetti argomenti nella sessione di comunicazione dei risultati del test o in una o più sessioni successive.

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